Ok, lo so, è l'ennesimo thread sulla guerra, ed è pure su insanity, però volevo farvi leggere 'sta cosa, forse un po' tragica, sicuramente non del tutto vera, ma significativa:
"Cara Madre,
Io, tuo figlio, sto bene.
Non so perché, però mi sentivo in dovere di dirti questo, prima di parlarti di quello che succede qua, e soprattutto, di quello che mi succede dentro.
Sono stato ferito al braccio. Sì, questa guerra “intelligente” poi tanto non lo è.
La ferita non è grave, i medici assicurano che guarirò presto: dicono sempre così; però forse stavolta è vero, anche perché, almeno fisicamente, ho solo un buco nel braccio.
Il problema è, però, come me lo sono fatto: nel modo barbaro e brutale, che troppo mi ricorda un episodio di quell’Iliade che tante volte hai desiderato io leggessi.
Eravamo a Bassora, città forse affascinante e vivibile, in periodo di pace. Ero con altri 10 uomini e c’era stato ordinato di prendere posizione in quell’edifico marrone; uno dei tanti. Non so come e neanche perché, non so quando, ma ad un certo punto J. è crollato a terra, morto.
Non era Antrace, non era uno Scud, non una bomba intelligente che ha sbagliato, e, Dio ce ne scampi, neanche fuoco amico! Era un kamikaze: un povero e vecchio irakeno, senza moglie e senza figli, fuggiti, spero, per tempo. Forse era per volere di Allah, forse per decisione di Saddam, forse perché l’aveva detto l’ONU, però quest’individuo, squattrinato e senza lavoro, aveva deciso di abitare a Bassora, città dalle multiformi sfaccettature, cancellate dall’intemperie e dal fuoco dei combattimenti. Stoltamente aveva deciso di negare a noi, innocenti e sottopagati assistenti delle Parche, l’utilizzo del suo appartamento per operazioni militari d’importanza strategica: non solo folle per aver pensato che se non l’avessimo distrutto noi, l’avrebbe sicuramente fatto qualcun altro, ma anche per aver creduto di potersi opporre all’Esercito di Sua Maestà!
D. non ci pensò molto prima di scaricare proiettili per l’equivalente di un mese di stipendio sulla casa di quel fanatico terrorista: se se ne fosse stato buono buono a guardarci distruggere il suo bene più grande, forse non avrebbe perso la vita.
Eppure, nonostante quell’inferno di metallo volante (che se l’avesse raccolto tutto da terra avrebbe potuto vivere per degli anni in un posto come quello), il pazzoide era ancora vivo. Non pago della vita che si era preso il diritto di terminare, sparò ancora. Il mio braccio sinistro porta ancora i segni di quell’atto inumano, che io ripagai, consegnandolo ad Allah.
Poi ricordo solo di essere svenuto, e di essermi risvegliato qua in ospedale, dove sono da due giorni.
Non so dove mi abbiano portato, di preciso, e non ho mai voluto saperlo.
In questi due giorni ho riflettuto parecchio su ciò che sta succedendo e sulla mia condizione d’inconsapevole portatore di tristezza, io, che credevo in un ideale di Libertà, ideale infranto dalle mie stesse azioni.
Mi sono arruolato 7 anni fa con un preciso scopo: quello di difendere il mio Paese. Da cosa?….
La mia carriera è stata molto rapida, molto probabilmente perché sono sempre stato abbastanza intelligente da non fare mai domande. E tu che mi insegnavi il contrario, da piccolo….
Quando sono partito per l’Iraq ero convinto di quel che facevo: mi consideravo come un piccolo ingranaggio nella grande macchina della Democrazia, nella grande macchina del Progresso, nella grande macchina della Vita. Ora, non sono più tanto convinto.
Ho visto alcuni di noi cadere morti, morti! Ho visto una guerra veloce diventare lenta e snervante: sembrava quasi che i generali non si fossero accorti che in mezzo al deserto c’erano città come Bassora, lontani sbuffi di fumo dalle vetrate dei loro palazzi ingioiellati a Kuwait City, forse piccoli puntini in mezzo ad un mare nero petrolio, dagli occhi dei loro infallibili satelliti spia. Eppure non solo c’erano città, in cui la guerra si protraeva casa per casa (erano talmente trionfi delle loro bombe intelligenti e dei loro radar notturni, da essersi dimenticati di addestrarci al combattimento in spazi angusti, i nostri generali), ma erano anche città che non si volevano far conquistare.
Noi portavamo loro la democrazia, e loro ci sparavano per evitarci l’accesso alle loro case: come se gli servisse una casa, ottenuta la democrazia! Fu questo che pensai nel trasporto in ambulanza, come in un sogno, mi colpì, sferzò con violenza l’idea che forse noi non portavamo là qualcosa, prendevamo e basta. Prendevamo, come io ho preso la vita di quell’Irakeno, che magari aveva i miei stessi ideali di democrazia, ma che come me avrebbe sparato anche al suo Capo del Governo, se gli fosse entrato armato in casa. Chi ero io, chi siamo noi, per arrogarci il diritto di prendere delle vite umane. Sparano per legittima difesa, proprio come farebbe ognuno di noi, e noi li uccidiamo per questo. E’ una catena infinita, che ha un inizio in un Paese talmente lontano per il povero irakeno che ho ucciso, che l’avrà sentito solo nelle fiabe. Credevo difendesse il suo benessere materiale, quattro stracci per me, e invece difendeva la sua libertà: la libertà di chiudere la porta davanti ad un estraneo.
Madre, ho sbagliato.
Ho infranto il bene più grande che mi fosse dato, dopo quello della vita: la mia morale. Credevo nei 10 comandamenti, ma uno di loro giace oggi calpestato da uno scarpone militare.
Non io, non tu, non il clero potrà mai guarire la ferità che io ho aperto nel mio cuore. Dio solo potrà punirmi a sufficienza per questo.
Lo immagino, sconsolato per il fallimento che ha subito: i suoi figli, i suoi prediletti figli, che per l’ennesima volta si uccidono l’un l’altro. Come ogni volta accaparrano scuse, si nascondono dietro a decisioni altrui, e soprattutto dicono che è l’ultima volta. L’ultima, di mille passate e mille ancora venture. Una lacrima bagna ora il terreno beato su cui il Divino, tristemente, si sta chiedendo come può esistere il buon padre.
Sperando di ritornare, quanto prima
L."